domenica 16 gennaio 2011

Un bellissimo libro: Il grido del gabbiano.


 Buona domenica, in questo post ( e anche nei successivi )  ho voglia di parlarvi di un bellissimo libro. Il libro che ho scelto si intitola "Il grido del gabbiano" scritto da Emmanuele Laborit. Inizierò con una descizione generale del libro ed approfondirò e riporterò delle parti di quest' ultimo che ho ritenuto più importanti. Sopratutto evidenzierò delle note polemiche che l'autrice non risparmia, e che a mio avviso ritengo siano costruttive.
L'autrice è una ragazza con un deficit sensoriale uditivo grave. A dispetto della sua condizione, nel 1993 vince il premio Molier e il successivo anno scrive "Il grido del gabbiano" oltre ad intraprendere una carriera di attrice. Questo libro mi è stato consigliato nel 2005 durante la frequenza di un corso professionale come interprete di LIS dalla mia insegnante, Arabella.
L'autrice narra tutta la sua vita ed è come se la dividesse in due parti: quella che va dalla nascita fino all'eta di sette anni e la seconda parte caratterizzata dalla scoperta della lingua dei segni.
Ella racconta dell'enorme difficoltà comunicativa che aveva da piccola, ma allo stesso tempo, della fortissima voglia di farlo. Voleva capire cosa le accadeva intorno, cosa la rendeva diversa dagli altri, ma tutti questi interrogativi hanno trovato una risposta solo all'età di sette anni. Ad un certo punto il padre sente tramite la radio che ad esprimersi è un sordo che si avvale di un interprete che traduce ad alta voce ciò che egli segna con le mani. Quell'uomo è Alfredo Corrado fondatore dell'International Visual Theatre, il teatro dei sordi di Vincennes. Parla dell'esistenza a washington dell' Università Gallaudet, riservata ai sordi. Questa cosa ha sconvolto tutti in quanto mai prima di allora il padre aveva sentito parlare dell'esistenza di una lingua che potesse far uscire dal silenzio sua figlia e che potesse metterla in condizione di comunicare. Il padre si infuria contro i suoi colleghi , medici, contro i pediatri, contro gli ortofonisti ed i pedagoghi che dichiaravano che solo una lingua parlata potesse aiutare la figlia ad uscire dall'isolamento.Da quando ha accesso a quel linguaggio ad Emanuelle tutto diviene chiaro, ma sopratutto capisce di avere un'identità. Fino ad allora aveva parlato di sè in terza persona. Infatti per quelli che sono nati con il loro nome in testa ( perhè udito più volte) un nome ripetuto continuamente dai genitori , è difficile capire cosa si può provare nella sua situazione.  Una volta imparata la sua nuova lingua, perchè il linguaggio dei segni è una vera e propria lingua, e non un semplice codice, Emmanuelle inizia una seconda vita.
Continuerò la descrizione del libro nei prossimi post. Ciao a tutti e buona domenica.

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