domenica 30 gennaio 2011

E per concludere. . . . una nota POLEMICA

Buona domenica mattina a tutti .. spero che gli assaggi del libro " Il grido del gabbiano " vi siano piaciuti.
Mi è piaciuto particolarmente questo libro perchè l'autrice parla delle sua vita senza risparmiare accenti polemici. Critica coloro i quali pretendono di rispettare i diritti dei portatori di handicap, ma davanti alla sordità come forma di deficit più subdolo in quanto meno palesemente visibile, mostrano atteggiamenti di rifiuto e di incomprensione nel tentativo di privare i sordi della loro unica e peculiare forma di espressione . Così facendo la sordità assume tutte le caratteristiche dell' handicap ed è oggetto sia di discriminazione, sia di ipocrisia.
Accettando la differenza e, pertanto, la singolarità delle manifestazioni espressive dei sordi, i due mondi, quello dei sordi e quello degli udenti, entrano in contatto e possono sperare di integrarsi nel riconoscimento e nel reale rispetto dell'altro.
Per fare ciò lo studio della LIS, ed il lavoro degli interpreti andrebbe valorizzato e supportato nelle scuole, per garantire un'istruzione quanto più elevata possibile, favorendo loro una maggiore partecipazione alla vita sociale.

mercoledì 26 gennaio 2011

Il grido del gabbiano: "L'uomo dell'impianto"

"L'uomo dell'impianto" è uno dei capitoli che ritengo più spinoso e che alza i toni della polemica facendo riflettere su molti atteggiamenti che la medicina e talvolta anche la pedagogia hanno nei confronti delle persone con deficit sensoriali. In questo capitolo sua madre le spiega di un possibile "intervento miracoloso" che trasforma i sordi in udenti: l'impianto cocleare. Pur se propagandato come un rimedio altamente valido, non è altro che una macchina, un'ennesima forma di violenza nei riguardi dei bambini sordi. Non si fa altro che sottolineare i benifici di tale rimedio, omettendo la gravità delle conseguenze organiche e psicologiche che alcuni destinatari dell'impianto lamentano. Questo è un grande passaggio emblematico nel quale Emmanuelle si rivolge al metaforico signore dell'impianto: "Al solito, lei sventola la bandiera della scienza, del del progresso. Ma ignora l'essere umano sordo di cui parla. La sua psicologia, la sua cultura. Ignora il futuro del piccolo sordo che intende modificare."
"Siamo una minoranza di sordi profondi alla nascita. Con una cultura particolare, una lingua particolare. I medici, i ricercatori, tutti quelli che vogliono fare
 di noi degli udenti come gli altri mi mandano su tutte le furie. Trasformandoci in udenti significa annientare la nostra identità. Volere che tuttti i bambini, alla nascita, non siano più "sordi", significa voler un mondo perfetto...Perchè non accettare le imperfezioni degli altri? Tutti ne hanno."
Ella, attraverso le sue parole, ribadisce il fatto che l'aiuto è da riservarsi a coloro i quali hanno perso l'udito durante la vita, perchè essi sono consci del valore della loro perdita, ma bisogna rispettare i bambini nati sordi, garantendo loro la libertà di scegliere a quale dei due mondi appartenere.
La lingua dei segni ha una sua storia caratterizzata da lunghe battaglie combattute affinchè si affermasse e fosse riconosciuta.
Successivamente però in in Europa è stata denigrata alla stregua di un "linguaggio scimmiesco", mentre oltreoceano si è sviluppata ed ha preso forma grazie all'istituzione di scuole che ne hanno garantito la diffusione.
"Così i bambini sono stati costretti ad articolare dei suoni che non avevano mai udito e che mai avrebbe udito, facendo loro dei sottosviluppati. Medici, educatori, chiese, il mondo degli udenti si è coalizzato contro il mondo dei di noi sordi con una violenza incredibile. Soltanto la parola regna sovrana"

domenica 23 gennaio 2011

"il grido del gabbiano" continua

Buona domenica .. continuo ancora con il libro "Il grido del gabbiano" prendendo da alcuni capitoli, delle frasi che ritengo siano rilevanti.

Minitel1 per sordi del 1982
" Per me, la lingua dei segni corrisponde alla voce, gli occhi sono le mie orecchie. In tutta sincerità non mi manca nulla. E' la società a fare di me una handicappata, a far si che dipenda dagli udenti: il bisogno di farsi tradurre una conversazione, il bisogno di chiedere aiuto per telefonare, l'impossibilità di chiamare direttamente il medico, il bisogno di sottotitoli alla televisione, accade così di rado. Con un pò di minitel, un pò di sottotitoli, io, noi, i sordi, potremmo avere un pò più facile accesso alla cultura.Non vi sarebbe più handicap, più blocchi, più frontiere tra noi."
Sopratutto ella ribadisce il concetto di non sopportare più l'insegnamento oralista. La pedagogia imposta a lei non era alto che una sofferenza. La Laborit in questi capitoli affronta il conflitto tra quelli che ella chiama due mondi: quello dei sordi e quello degli udenti. Crede e spera nella possibilità di un dialogo.Ma una sua critica a mio avviso da non sottovalutare, è che lo sforzo necessario a tale comunicazione ricade sempre più sui sordi .
Nel prossimo post vi parlerò un capitolo che ho trovato molto interessante "Il signore dell'impianto". Ciao a tutti, ancora buona domenica. al prossimo post.



venerdì 21 gennaio 2011

Andiamo avanti con "Il grido del gabbiano"

I capitoli iniziali descrivono tutti i suoi disagi e tutto ciò che lei provava da bambina, il rapporto con la madre e il suo modo di comunicare attraverso un linguaggio da lei stessa definito "codice ombellicale".
Attraverso gli occhi poteva percepire tutte le sensazioni che gli altri provavano. Racconta di come attraverso il corpo era in grado di avvertire la musica e le sue vibrazioni. Lo zio le faceva mordere la chitarra per farle percepire le vibrazioni che lo strumento produceva. La sua percezione della vita era distorta al punto che ella era convinta che non esistessero altri sordi, sia adulti, sia bambini. Nonostante trovi tutti i capitoli estremamente interessanti e degni di attenzione, preferisco prendere maggiormente in considerazione gli ultimi.Questi sono più carichi di ribellione, di rabbia e di riflessioni che ritengo molto importanti ai fini pedagogici. Cosi nei prossimi post trascriverò quelle che sono delle sue riflessioni sulla differenza tra udenti e sordi.

martedì 18 gennaio 2011

un video interessante

"il grido del gabbiano" .... continua..

Buongiorno, vado avanti con la descrizione del libro "Il grido del gabbiano"...
Durante il cammino ( riprendendo il post precedente) non sono mancate le umiliazioni che l'hanno portata all'adolescenza piena di rabbia. Una forte umiliazione subita all'età di 13 anni causata da un terribike malinteso fa sì che venfa trascinata in commissariato. Lì nessuno si preoccupa di quello che vuole dire, del suo tentare di dare delle spiegazioni, dei suoi bisogni e della sua necessita di parlare con i genitori per avvertirli di ciò che sta accadendo.
Così passa la notte in carcere, fin quando il mattino dopo viene a prenderla il padre. Quell'ingiustizia subita la fa tornare nella solitudine che provava da piccola: al tempo in cui il mondo degli udenti era un mistero, caratterizzato da molteplici incomprensioni.
"Se mi avessero concesso  la possibilità di parlare secondo i miei ritmi, con la mia voce, se si fosse rispettato l'individuo che io sono, quel cumulo di malintesi, poi di ingiustizie, non si sarebbero mai prodotte"
"Si erano sbagliati su di me, mi avevano scambiata sotto sotto, per una ritardata che subisce senza capire, e mi rendevo perfettamente conto del loro comportamento sprezzante. Mi ha fatto male".
Tutto l'accaduto porta al rifiuto delle regole, dei genitori ed a trasgredire, ma sopratutto rifiuta la nuova scuola che vieta l'utilizzo del linguaggio dei segni, ancora proibito dalla legge.
Successivamente si innamorò di un ragazzo difficile e violento che la deluderà. Resasi conto che la strada intrapresa non è quella guista, decide di riprendere gli studi e di impagnarsi per il conseguimento del diploma, scoprendo la sua grande passione il teatro.
E' così che, pur non riuscendo ad udire, diventa in grado di comunicare tutta la sua arte attraverso il movimento delle mani.   

domenica 16 gennaio 2011

Un bellissimo libro: Il grido del gabbiano.


 Buona domenica, in questo post ( e anche nei successivi )  ho voglia di parlarvi di un bellissimo libro. Il libro che ho scelto si intitola "Il grido del gabbiano" scritto da Emmanuele Laborit. Inizierò con una descizione generale del libro ed approfondirò e riporterò delle parti di quest' ultimo che ho ritenuto più importanti. Sopratutto evidenzierò delle note polemiche che l'autrice non risparmia, e che a mio avviso ritengo siano costruttive.
L'autrice è una ragazza con un deficit sensoriale uditivo grave. A dispetto della sua condizione, nel 1993 vince il premio Molier e il successivo anno scrive "Il grido del gabbiano" oltre ad intraprendere una carriera di attrice. Questo libro mi è stato consigliato nel 2005 durante la frequenza di un corso professionale come interprete di LIS dalla mia insegnante, Arabella.
L'autrice narra tutta la sua vita ed è come se la dividesse in due parti: quella che va dalla nascita fino all'eta di sette anni e la seconda parte caratterizzata dalla scoperta della lingua dei segni.
Ella racconta dell'enorme difficoltà comunicativa che aveva da piccola, ma allo stesso tempo, della fortissima voglia di farlo. Voleva capire cosa le accadeva intorno, cosa la rendeva diversa dagli altri, ma tutti questi interrogativi hanno trovato una risposta solo all'età di sette anni. Ad un certo punto il padre sente tramite la radio che ad esprimersi è un sordo che si avvale di un interprete che traduce ad alta voce ciò che egli segna con le mani. Quell'uomo è Alfredo Corrado fondatore dell'International Visual Theatre, il teatro dei sordi di Vincennes. Parla dell'esistenza a washington dell' Università Gallaudet, riservata ai sordi. Questa cosa ha sconvolto tutti in quanto mai prima di allora il padre aveva sentito parlare dell'esistenza di una lingua che potesse far uscire dal silenzio sua figlia e che potesse metterla in condizione di comunicare. Il padre si infuria contro i suoi colleghi , medici, contro i pediatri, contro gli ortofonisti ed i pedagoghi che dichiaravano che solo una lingua parlata potesse aiutare la figlia ad uscire dall'isolamento.Da quando ha accesso a quel linguaggio ad Emanuelle tutto diviene chiaro, ma sopratutto capisce di avere un'identità. Fino ad allora aveva parlato di sè in terza persona. Infatti per quelli che sono nati con il loro nome in testa ( perhè udito più volte) un nome ripetuto continuamente dai genitori , è difficile capire cosa si può provare nella sua situazione.  Una volta imparata la sua nuova lingua, perchè il linguaggio dei segni è una vera e propria lingua, e non un semplice codice, Emmanuelle inizia una seconda vita.
Continuerò la descrizione del libro nei prossimi post. Ciao a tutti e buona domenica.

mercoledì 12 gennaio 2011

Curiosità sulla cultura dei sordi: Condivisione delle informazioni

Buona serata a tutti, nel post di questa sera vi parlerò della " Condivisione delle informazioni". Se una persona dovesse arrivare in ritardo ad una lezione universutaria, cosa farebbe entrando in aula? La maggior parte delle persone prenderebbe silenziosamente posto. E questo sarebbe considerato un comportamento educato. Durante una lezione di lingua dei segni invece, questo non sarebbe un comportamento molto appropriato. Oltre ad entare senza disturbare ci si aspetta dalla persona una breve spiegazione del perchè si è in ritardo. Potrebbe dire il più brevemente possibile "Mi dispiace per il ritado: ho perso l'autobus". Condividere le informazioni è una regola per la comunità sorda, sopratutto quando c'è un cambiamento nelle abitudini o nelle aspettative, una spiegazione è indispensabile .
I motivi per cui si è arrivati in ritardo non devono essere visti come delle scuse, ma piuttosto come un modo per parlare.
Perchè è così? Le persone sorde hanno formato una comunità con un ato grado di coesione e di mutuo sostegno. Come ci si può aspettare, questa comunità tende ad incoraggiare un maggior senso di familiarità. Questo è evidente dal tipo di informazioni condivise. Le persone sorde nelle conversazioni di ogni giorno condividono una vasta gamma di informazioni sulla loro vita quotidiana, parlando della famiglia, degli amici, di quello che hanno fatto, delle novità e degli eventi che riguardano la comunità.
E necessario imparare a condividere più informazioni su se stessi quando si parla con persone sorde, di quelle che abitualmente si condividerebbero con persone udenti che non siano amici stretti.
Questa potrebbe sembrare una piccola differenza tra la cultura sorda e quella udente, ma non è vero. Man mano che si acquisirà dimestichezza con la LIS, si inizierà ad apprezzare come il tenere gli altri informati inciderà in proporzione sulla profondità dei rapporti che si instaureranno con le persone sorde e la loro comunità.
Per esempio e bene dare informazioni:
  • Se si è in ritardo o si ha bisogno di andar via prima, è bene informare gli altri e dare una motivazione
  • Quando si stà per andar via da una situazione di gruppo e necessario fare in modo di farlo sapere agli altri, e non soltanto ad una persona sola ma al maggior numero di persone che si conoscono.
  • Se ci si assenta per poco tempo, è bene dire a qualcuno dove si sta andando e quando si tornerà.
Se ci si alza e si va via durante una conversazione informale, anche se non si è direttamente coinvolti , è probabile che venga chiesto a qualcuno del gruppo informazioni su quel determinato comportamento. Se si è avvisato precedentemente qualcuno del gruppo, verrà informato il gruppo stesso e la conversazione continuerà normalmente. In questo modo viene mantenuto il previsto livello di informazione condivisa.

domenica 9 gennaio 2011

Quando si usa la dattilologia?

Buona domenica!! Oggi come al solito c'è  nebbia e umidità quì a Rovigo e io  ne approfitto per scrivere un post dedicato all'utilizzo della dattilologia. In qualche post precedente ne ho già parlato ma oggi sul mio testo di riferimento ( Metodo VISTA gruppo SILIS Mason Perkins Deafness Fund) ho trovato un'approfondimento molto interessante.
Quando in una comunità coesistono due lingue, la lingua della maggioranza culturale può influenzare la lingua della minoranza culturale. Uno dei modi in cui la LIS è influenzata dall'italiano è la presenza in LIS di alcune parole italiane in dattilologia.
In genere la dattilologia si usa per:
  • nomi propri non comuni o stranieri
  • alcune parole di due o tre lettere.
NOTA: I nomi propri più comuni sia di persona che di città ( es . Paolo, Maria, Napoli, Milano) in LIS hanno segni specifici.
Strategie per la dattilologia
  1. Quando vedi una parola in dattilologia, cerca di vedere le caratteristiche di forma e movimento della parola invece di cercare di vedere le singole lettere. Leggi l'intera parola così come leggeresti una parola stampata.
  2. Quando segni a tua volta qualche parola in dattilologia assicurati di tenere la mano leggermente a destra e al di sotto del mento. Tieni il gomito basso, vicino al corpo e il braccio morbido.
  3. Quando segni in dattilologia lavora sulla fluidità del movimento e sulla fusione delle forme della mano nell'intera parola, piuttosto che pensare ad articolare ogni singola lettera. evita di "isolare" ogni lettera.
Ricorda che la dattilologia non è un sostituto della LIS. Non digitare una parola come prima possibilità per esprimere un concetto di cui non conosci il segno. Piuttosto usa l'indicazione, la descrizione, la gestualità, il mimo il segno, qualunque cosa, ma non la dattilologia.

venerdì 7 gennaio 2011

Cultura dei sordi: Il nome in segni

Buon pomeriggio a tutti .... come si dice "con l'epifania tutte le feste vanno via" così rieccomi con i miei post.. lo scopo ? quello di avvicinare il più possibile gli udenti al mondo dei sordi. Dopo essermi soffermata abbastanza su quella che è la grammatica, oggi voglio approfondire la cultura dei sordi. Sapevate che ogni sordo ha un suo nome ? diverso da quello di battesimo ? E si ! è proprio così, me ne è stato dato uno anche a me, quando mi sono avvicinata alla comunità dei sordi!! :).
Qualsiasi persona, sorda o udente, che entra in contatto con il mondo dei sordi ben presto viene identificata con un nome in segni detto anche SEGNO NOME. I bambini figli di sordi ricevono il nome in segni in famiglia.
I nomi in segni sono usati per identificare e per fare riferimento a persone sia presenti che assenti. I nomi in segni non sono usati per riferimenti diretti. Esistono segni descrittivi e non descrittivi o arbitrari. I primi identificano una persona attraverso una sua caratteristica fisica, caratteriale legata al suo ruolo sociale, al suo lavoro, o attraverso una sua particolare abilità o difetto.I nomi in segni arbitrari non esprimono una qualità dell'individuo che identificano, spesso sono inizializzai: si tratta di segni che utilizzano una lettera del nome della persona ( solitamente una o più iniziali ) per fare il suo nome in segni. Così un nome in segni  per un cognome che inizia con la lettera O  può essere rappresentato dalla lettera O dell'alfabeto manuale.
I nomi in segni generalmente vengono attribuiti da una persona sorda; le persone solitamente non inventano il proprio nome in segni. Quando ci si presenta è opportuno digitare prima il nome completo in dattilologia e poi aggiungere il nome in segni.
Una persona può avere nel corso della vita più di un nome in segni, uno che gli è stato attribuito a scuola e più tardi uno che gli viene dato a lavoro o al circolo. Inoltre il nome in segni descrittivo piò venire tramandato all'inerno della famiglia e quindi diventare arbitrario, in quanto la persona che lo eredita non possiede più le caratteristiche descritte dal nome in segni.